Spesso, quando si stipula un contratto di distribuzione, ci si concentra sulle clausole relative al diritto di esclusiva, al territorio, alla scontistica, agli obblighi di promozione etc., ma non si pone la giusta attenzione alla conformità delle disposizioni del documento con la normativa antitrust, circostanza che determina rischi significativamente alti per i contraenti, che vanno dalla nullità del contratto, all’applicazione di sanzioni amministrative fino al 30 % del fatturato dell’impresa, all’obbligo di risarcire i danni che l’accordo può aver comportato.
Va infatti osservato che il contratto di distribuzione si configura come una intesa “verticale”, ovvero come accordo nel quale intervengono operatori che si collocano a livelli diversi della filiera produttiva e/o distributiva, tanto di beni quanto di servizi.
Tali accordi possono essere ritenuti vietati ai sensi all’articolo 101 del TFEU (ex art. 81 del TCE), laddove ritenuti idonei a pregiudicare il commercio tra Stati membri o in quanto abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno. Oppure posso essere ritenuti leciti in quanto risultino prevalere i vantaggi prodotti in termini di efficienza e di risparmio di costi a beneficio dei consumatori.
Il regolamento UE 330/2010, relativo all’applicazione del suddetto art. 110, detta tra l’altro una serie di esenzioni all’applicazione del divieto, che fanno presumere la liceità dei contratti. Una delle principali esenzioni attiene a quegli accordi in cui ciascuna delle parti non detiene una quota di mercato superiore al 30% del mercato rilevante. Ovviamente è poi argomento assai complesso in taluni casi quello della definizione del mercato rilevante.
Lo stesso regolamento prevede tuttavia che tale esenzione non operi in presenza di una serie di clausole (cd clausole “black listed”), che rendono l’accordo vietato indipendentemente dalla quota di mercato posseduta dalle parti. Rientrano tra queste clausole per esempio quelle che impongono il prezzo di vendita al distributore (è invece consentito imporre un prezzo massimo di vendita o consigliare un prezzo di vendita), quelle che hanno come obiettivo quello di restringere il territorio in cui, o i clienti ai quali, il distributore può vendere i prodotti acquistati (sono comunque consentite alcune restrizioni, per esempio, laddove al distributore sia attribuito un territorio in esclusiva, ovvero quando la restrizione riguardi la vendita a consumatori finali da parte di coloro che opera all’ingrosso).
Inoltre, sono vietati, sempre indipendentemente dalla quota di mercato posseduta dalle parti, quegli accordi diretti a limitare la concorrenza tra le parti a tempo indeterminato o per un periodo superiore a 5 anni (a fini della disposizione in oggetto, gli accordi tacitamente rinnovabili oltre i 5 anni sono considerati a tempo indeterminato).
Occorre inoltre spendere qualche parola in merito al recentissimo D.lgs. 3/2017 che ha introdotto importati novità sotto il profilo sostanziale e processuale della tutela risarcitoria per le violazioni delle disposizioni in materia di diritto della concorrenza.
Detto decreto prevede che sarà legittimato ad agire per il risarcimento chiunque (persone, fisiche o giuridiche, professionisti o consumatori) lo abbia subito, indipendentemente dal fatto che si tratti di acquirente diretto o indiretto dell’autore della violazione del diritto alla concorrenza (art. 10).
Il risarcimento potrà essere chiesto per qualunque danno subito a seguito della violazione delle disposizioni di “diritto della concorrenza”. Il danno risarcibile comprende il lucro cessante, il danno emergente e gli interessi e non può dare luogo a sovracompensazioni (art. 1, co. 2), venendo in tal modo esclusa l’applicazione dei c.d. danni punitivi previsti in altri ordinamenti (ad es. gli USA). Esso andrà quindi determinato dal giudice italiano in base agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.
Va infine prestata particolare attenzione alla disposizione sulle prove (art. 7), che attribuisce particolare efficacia probatoria alle decisioni dell’AGCM e a quelle delle autorità della concorrenza site in altri Stati membri: infatti, si considera definitivamente accertata nei confronti dell’autore la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’AGCM passata “in giudicato”. Le decisioni definitive con le quali le autorità antitrust o i giudici del ricorso di altri Stati membri abbiano accertato una violazione del diritto della concorrenza costituiscono, invece, prova prima facie nei confronti dell’autore della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove.
Infine, per i giudizi di risarcimento avviati dal 3 febbraio 2017, è prevista la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa, con concentrazione inderogabile delle controversie per danno antitrust nei tre uffici giudiziari di Milano (per il Nord Italia), Roma (per il Centro) e Napoli (per il Sud).
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